Ripartenza : “Se tutto funziona, i conti dell'Italia alla fine dovrebbero tornare”

Attività bloccate per oltre due mesi, e ora la ripartenza. Crisi sanitaria ed economia, Covid 19 e Pil, debito pubblico e porte che si riaprono. In che direzione sta andando il Paese, e cosa ci aspetta da qui al prossimo anno? Per rispondere a queste e altre domande, nei giorni scorsi ho organizzato una diretta in streaming online alla quale hanno partecipato molti colleghi e collaboratori, incentrata sull'intervento – le previsioni e le analisi di scenario – di Carlo Altomonte, docente di Economia dell'integrazione europea all'Università Bocconi, consulente per la Commissione europea e in precedenza per la Bce. Per 'vedere' dove stiamo andando, Altomonte ha innanzitutto inquadrato la situazione e le prospettive. Usando i numeri. Secondo le stime (di Banca Intesa) per l'Italia nel 2020, “il primo trimestre si è chiuso con un calo del Pil attorno al 5% rispetto a un anno fa, e per questo secondo trimestre che si chiuderà a giugno è previsto un crollo del 10%, sempre rispetto a un anno prima. Con una successiva, graduale, lenta risalita”, sottolinea Altomonte: “nel complesso per l'intero 2020, si prevede una caduta del Pil nazionale attorno all'8 o 9%, a cui l'anno prossimo dovrebbe seguire una ripresa del +5,5%. In pratica, a fine 2021 ci dovremmo ritrovare con valori di crescita allo stesso livello di inizio 2019”: la crisi da Covid 19 per l'economia sta 'bruciando' due anni di attività. 

Per quanto riguarda il rapporto tra debito pubblico e Pil, in Italia a fine 2020 dovrebbe attestarsi attorno a quota 160%, per Francia e Spagna attorno al 120% (mentre per gli Stati Uniti circa 115%): ciò significa che i Paesi che producono circa il 50% del Pil dell'Eurozona si troverebbero in una situazione in cui il costo di gestione del debito pubblico – come conseguenza del Coronavirus – potrebbe incidere in maniera molto pesante sulla capacità di spesa produttiva e sulle possibilità di crescita dei singoli Paesi molto indebitati. Mentre i Paesi con un debito pubblico più basso uscirebbero dalla crisi prima e con possibilità di rafforzarsi prima. “Questa prospettiva, se non gestita in maniera adeguata, rischia di spaccare in due l'area euro”, rimarca l'economista della Bocconi: bisogna quindi evitare che lo Shock simmetrico, provocato dal Covid 19, non si traduca in una profonda asimmetria, tra Paesi (come Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia) ad alto debito pubblico che crescono poco, e Paesi (come Germania e Olanda) a basso debito che crescono di più. Una spaccatura e uno squilibrio che sarebbero ingestibili nel lungo periodo.


“La Banca centrale europea sta già facendo molto per sostenere Eurolandia dalla crisi del Covid 19”, fa notare Altomonte: “sta mettendo come Quantitative easing 100 miliardi di euro al mese, che saranno circa mille miliardi a fine anno. La gran parte per comprare sul mercato debito pubblico dei vari Paesi dell'Eurozona. Ha attivato 3mila miliardi di prestiti alle banche, con finanziamenti a tasso negativo, da girare a loro volta alle aziende. Ma la Bce non può fare tutto da sola. Per questo saranno fondamentali i contributi, i finanziamenti, di altri strumenti e soluzioni”, come Mes, Recovery fund, piano Sure della Commissione Ue, risorse della Banca europea degli investimenti (su questo si possono vedere anche i Blog Post del 14, 22 e 29 aprile). 

Taccuino, o calcolatrice, alla mano, si possono quindi fare due conti. Considerato che il peso del debito pubblico italiano già sul mercato verrà in pratica alleviato dalla Bce, il 'nuovo debito pubblico' prodotto dall'Italia nel corso del 2020 e dintorni dovrebbe ammontare attorno a quota 180 – 200 miliardi di euro. Di questi, circa 135 miliardi sarebbero la spesa pubblica in più – oltre quella della Manovra 2020 – causata dal Covid 19. Stando ai calcoli attuali, all'Italia dal Mes dovrebbero arrivare fino a 35 miliardi di finanziamenti (in questo caso, per la spesa sanitaria); dal piano Sure fino a 20 miliardi; l'Unione europea ha poi sbloccato 11,5 miliardi di fondi strutturali (il difficile è spenderli bene); dal Recovery fund sono attesi circa 112 miliardi di prestiti o trasferimenti. “A conti fatti, quindi”, fa notare Altomonte, “gli aiuti europei dovrebbero compensare totalmente tutte le nuove esigenze del debito pubblico italiano. E anche se il contributo del Recovery fund, o dei vari strumenti nel loro complesso, dovesse essere un po' minore di queste cifre, l'Italia dovrebbe trovarsi comunque in una situazione di debito pubblico gestibile. Solo se invece la spesa pubblica italiana dovesse crescere ancora e molto di più di quanto previsto finora, allora nel 2021 potrebbero esserci dei problemi di rifinanziamento del debito sul mercato”.

È quindi fondamentale non sforare troppo le previsioni di spesa già fatte, e usare bene i fondi europei che arriveranno. Senza aumentare l'esposizione dell'Italia al debito sui mercati finanziari. È meglio, come sottolinea l'economista della Bocconi, se l'Italia resta più indebitata nei confronti delle istituzioni europee (come Bce, Commissione Ue, Bei, eccetera) e meno verso il mercato finanziario, perché con le istituzioni si possono trovare soluzioni 'politiche', che con i fondi di investimento non si possono trovare. Del resto, anche la Germania e i tedeschi sanno bene che non conviene neanche a loro che l'Italia vada in bancarotta.

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