Sono giorni di grande fermento per la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi di euro necessaria per salvare ancora una volta Monte dei Paschi di Siena. È il sesto aumento di capitale in poco più di dieci anni, un pozzo senza fondo semplicemente scandaloso.
In caso in cui non venissero reperiti i 900 milioni di euro mancanti – finora 1,6 miliardi arrivano dal Ministero di Economia e Finanza (Mef), quindi soldi pubblici, soldi di tutti noi gettati nella voragine MPS – e che devono essere sottoscritti da investitori privati, toccherebbe al consorzio formato da otto banche dover acquistare le azioni del Monte che rimarranno invendute.
Al momento, soltanto Axa e Anima hanno dato disponibilità a sottoscrivere circa un terzo dei 900 milioni, con quest'ultima che richiede una revisione degli accordi. In pratica, si chiedono contropartite nella distribuzione azionaria, ma Bruxelles vigila su eventuali aiuti di Stato. Indiscrezioni ritengono che Fondazioni e Casse previdenziali potrebbero investire 100 milioni di euro. La grande incertezza riguarda i bond di Banca MPS che potrebbero registrare forti perdite in caso di salvataggio statale.
Più nel dettaglio, da settimane l'amministratore delegato di MPS, Luigi Lovaglio, sta cercando di coinvolgere banche e, si vocifera anche hedge fund, per raggiungere quei 900 milioni necessari per ottenere l'Ok finale della Bce alla nuova liquidità necessaria per portare avanti il piano strategico al 2026.
Nel piano di salvataggio e recupero sono previste 4mila uscite volontarie (costo 800 milioni, in media 200mila euro ciascuna) che potrebbero aiutare a raggiungere l'obiettivo di utile di un miliardo al 2024 e di 833 milioni al 2026, con ritorno al dividendo a partire dal risultato 2025 (pay-out del 30% in 2025- 2026). In caso contrario, le istituzioni potrebbero considerare l'operazione come un aiuto di Stato mascherato visto che l'Aucap è stato sottoscritto praticamente solo dal Mef per la propria parte di capitale (1,6 miliardi), e attivare i meccanismi previsti per il salvataggio di un istituto bancario.
Nelle scorse settimane, Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco BPM, ha lasciato intendere di non essere contrario all’aggregazione con Banca MPS, a patto che quest’ultima sia risanata e ricapitalizzata. “A bocce ferme – ha osservato Castagna – si vedrà tutto, ora ci sono tanti elementi in movimento anche per loro”. Rispetto alla Banca MPS di adesso la fusione “per il momento non è sul tavolo, non lo è stata negli ultimi due anni e continua a non esserci”.
Sono quindi giorni di grande fermento per l’ennesimo salvataggio del Titanic MPS, intanto l’orchestra di bordo continua a suonare – come quella del transatlantico colato a picco –, fiduciosi che anche stavolta i soldi finiti a mare da qualche parte e in qualche modo ritorneranno nelle casse disastrate e colabrodo.
