Alle elezioni presidenziali in Brasile che si sono svolte nei giorni scorsi, il risultato è stato incerto fino all'ultimo tra i due sfidanti, Jair Bolsonaro, leader dell’estrema Destra e presidente uscente, e Inácio Lula da Silva, icona della Sinistra e già presidente due volte.
Alla fine ha vinto Lula con il 50,9% dei voti, candidato del Partito dei lavoratori, 77 anni, è già stato alla guida del Paese dal 2003 al 2011. Per Bolsonaro una sconfitta al fotofinish: 60 milioni di voti per il vincitore, 58 milioni per lui e il suo motto “Dio, patria, famiglia” (non troppo originale). Dal canto suo, Bolsonaro è diventato così il primo presidente brasiliano a non venire riconfermato.
Come ha sottolineato La Repubblica, “Lula si prende la vittoria. Per lui è un grande ritorno. Segna un riscatto dopo tre anni di inferno: le accuse di corruzione, la gogna del processo pubblico, la dura sentenza a 12 anni, 580 giorni di carcere, i ricorsi, l'annullamento di tutte le condanne. Poi, la rinascita, la nuova corsa verso la presidenza”.
Appena eletto per la terza volta, ha rimarcato: “hanno cercato di seppellirmi vivo ma sono risorto. Oggi l’unico vincitore è il popolo brasiliano. Sarò il presidente di tutti: riuniamo la famiglia”. Poi l’ex sindacalista ha aggiunto: "il Brasile è pronto per lottare contro la crisi climatica e per la deforestazione zero dell'Amazzonia. Il pianeta ha bisogno di una Amazzonia viva: un albero in piedi vale più di tonnellate di legname estratto illegalmente”. E spiega: “la maggioranza del popolo ha lasciato detto chiaro che desidera più democrazia e non meno. Vuole più libertà, più uguaglianza e più fraternità”.
In Israele, invece, è stato l’ennesimo trionfo per Benjamin Netanyahu e la sua coalizione di (ultra)Destra. Ecco il quadro che esce dalle elezioni israeliane: il Likud di ‘King Bibi’ Netanyahu torna per distacco primo partito del Paese con 32 seggi.
Ma a portare una quota cruciale di altri seggi decisivi per il nuovo governo è il blocco di estrema destra di Sionismo Religioso guidato da Itamar Ben-Gvir e Betzalel Smotrich. Con 14 seggi, è loro il vero exploit di questa tornata elettorale: ora puntano a fare l’ago della bilancia nel governo, ottenere ruoli chiave, e far valere tutto il loro peso sugli orientamenti del prossimo esecutivo. A completare la coalizione guidata da Netanyahu dovrebbero essere i partiti religiosi di Shas e Unità nella Torà, tradizionali alleati del Likud. Con 11 e 7 seggi rispettivamente, completerebbero la maggioranza di 64 deputati alla Knesset (il Parlamento israeliano, composto da una sola Camera da 120 seggi).
A 73 anni, Netanyahu riconquista quindi l’incarico di primo ministro d’Israele, una poltrona dove ha già seduto dal 1996 al 1999 e poi di nuovo ininterrottamente dal 2009 al 2021. Un ‘regno’ che gli è valso il primato di premier più longevo nella storia d’Israele.
A Sinistra, restano le macerie. Il partito laburista, per lunghi decenni pilastro dei governi d’Israele, vede ulteriormente decimata la sua rappresentanza – entra in Parlamento per il rotto della cuffia con appena 4 deputati –, mentre resta fuori dalla Knesset per la prima volta da trent’anni il Meretz. Lo spostamento a Destra dell’elettorato israeliano prosegue e si consolida.
