Da tempo ormai la popolazione cinese osserva incredula come, nel resto del mondo, si stia tornando verso la normalità pre-pandemica. In Cina, infatti, la strategia ‘Zero Covid’ del governo, e del partito comunista, è oggi l’unica arma per combattere il virus: la popolazione non è adeguatamente immunizzata, e i vaccini locali non hanno dimostrato la stessa efficacia di quelli occidentali a tecnologia mRna.
La scelta di Pechino di non importare i vaccini Pfizer e Moderna, dettata da motivazioni politiche più che dall’esigenza sanitaria, ha infilato il Paese in una situazione molto complessa. Dopo quasi due anni di contrasto alla pandemia, buona parte della popolazione è ormai stanca, esasperata, e nelle ultime settimane in molti – innanzitutto nelle grandi città chiuse da ennesimi Lockdown – sono scesi in strada per protestare contro le nuove restrizioni. Come conseguenza, tensioni e incertezza sul futuro agitano i mercati.
Secondo gli esperti, se a partire da domani la Cina abbandonasse la politica Zero Covid, nel Paese si registrerebbero in poche settimane circa 360 milioni di infezioni, 6 milioni di cinesi finirebbero all’ospedale e, di conseguenza, ci sarebbero almeno 620mila morti. Per questo, pochi analisti ritengono che la Cina si stia preparando a un’imminente riapertura.
Questa situazione critica potrebbe invece continuare per gran parte del 2023 se le autorità del governo centrale non riusciranno a elaborare una Exit strategy che, al momento, fa notare l’Economist, “significa operare una scelta: lasciarsi sfuggire il controllo del virus o perdere il sostegno della popolazione”. Per il partito comunista cinese ora non è facile far fronte al malcontento e allentare le misure anti-Covid.
“La persistenza di Xi Jinping sulla politica Zero Covid rischia di presentare un conto molto salato. Da anni la Cina dichiara di voler puntare sui consumi come nuovo motore di crescita, ma il comparto non è mai tornato ai livelli di crescita pre-pandemia e i Lockdown aggravano la situazione”, rileva la newsletter dell’Ispi, l’Istituto di studi e politiche internazionali con sede a Milano.
Già in primavera si erano toccate punte del -11% per le vendite al dettaglio, che avevano portato a un calo del -2,6% del Pil nel secondo trimestre solo parzialmente recuperato nel terzo (3,9%). Con le nuove restrizioni appena cominciate, e che danneggeranno i consumi sotto le Feste di fine anno, è difficile immaginare una crescita annuale sopra il 3%. Il peggiore risultato economico da decenni dopo il 2020 (un 2,2% ottenuto però in un anno di recessione globale) è ormai in vista.
Le proteste e le manifestazioni di disobbedienza civile “sono un fenomeno senza precedenti nella Cina del presidente Xi Jinping”, sottolinea Filippo Fasulo, Co-head dell’Osservatorio geoeconomia dell’Ispi, “a cui il mondo guarda con attenzione crescente: se è difficile ipotizzare un cambiamento di rotta, che equivarrebbe ad ammettere la sconfitta di una politica fortemente rivendicata dal partito comunista e dallo stesso leader, è possibile che alcune misure saranno ammorbidite. Che questo basti a far rientrare le tensioni, però, è tutto da vedere”.
Gli effetti della strategia Zero Covid sull’economia cinese sono inequivocabili e pesanti: i continui Lockdown, le quarantene e i controlli a tappeto scoraggiano i consumi interni e la mobilità. Durante la seconda settimana di novembre, con l'aumento dei contagi, il numero di voli interni è diminuito del 45% su base annua. Nei primi nove mesi del 2022 le tre maggiori compagnie aeree cinesi hanno perso un totale di circa 9 miliardi di euro. Il traffico della metropolitana nelle dieci città più grandi della Cina è diminuito del 32%.
Per anni, la Cina è stata la fabbrica del mondo e un motore vitale della crescita globale, e le turbolenze che attraversa non possono fare a meno di avere delle ricadute sul resto del mondo.
