Dapprima c’è stata la decisione presa da Silvergate Capital (-56% in settimana) di chiudere la sua banca Silvergate Bank, specializzata nel settore delle criptovalute. Poi c’è stato il caso ancora più clamoroso della banca SVB – la Silicon Valley Bank (-63% in settimana), operante con piccole imprese del settore tecnologico in California, che è andata in crisi di liquidità ed è stata commissariata dalle autorità Usa.
Ciò ha portato al ribasso delle azioni delle banche americane, che in pochi giorni in media hanno perso oltre l’11%, e al seguente contraccolpo negativo sulle Borse anche europee e a Piazza Affari.
Entrambi i casi di Silvergate Bank e Silicon Valley Bank sono simili: le banche si erano specializzate in settori che tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 hanno fatto faville. I loro clienti erano pieni di soldi e li depositavano presso queste banche che, per larga parte, li investivano in titoli di Stato Usa a lunga scadenza. Il mondo, però, cambia e sia le criptovalute, sia il settore tecnologico negli scorsi mesi passano momenti difficili.
Quegli stessi clienti che erano pieni di soldi cominciano ad avere bisogno della liquidità in banca e cominciano a ritirarla. Per restituirla le due banche sono costrette a vendere i loro titoli di Stato che, però, nel frattempo hanno visto i loro prezzi scendere. Questo genera perdite di bilancio che spaventano: ancora più clienti chiedono indietro i soldi, generando un circolo vizioso che porta alla chiusura di entrambe le banche.
Del resto, quando i tassi d’interesse salgono, i prezzi delle obbligazioni e dei titoli di Stato già sul mercato scendono: è l’unico modo per renderli interessanti rispetto alle nuove emissioni. Quella di Silvergate Bank è una liquidazione volontaria e i correntisti dovrebbero essere tutti rimborsati. Per SVB le autorità sono invece al lavoro per cercare quanto meno di garantire i depositi – sono garantiti fino a 250mila dollari dal fondo di garanza bancario Usa, ma i clienti (per lo più società) hanno giacenze nettamente superiori –, e cedere la parte buona della banca ad altri soggetti: l’obiettivo è evitare la corsa agli sportelli di altre banche e il panico sui mercati. Non erano banche operanti in Italia, quindi i risparmiatori italiani non dovrebbero essere coinvolti direttamente dalle loro chiusure.
Come rileva Altroconsumo.it, “le azioni tecnologiche soffrono più di altre il rialzo dei tassi d’interesse perché sono società che lavorano su progetti che in molti casi potrebbero dare frutti – in termini di utili e dividendi – solo tra molti anni. In finanza un euro oggi vale di più di un euro domani e questo è tanto più vero quanto più salgono i tassi d’interesse: perché devo investire su qualcosa che mi darà frutti tra tanti anni se posso portare subito a casa un rendimento accettabile?”.
SVB era la sedicesima banca americana per dimensione, con 209 miliardi di dollari di attivi e 175 miliardi di depositi. Fondata nel 1983 da Bill Biggerstaff e Robert Medaris, aveva aperto la prima sede a Santa Clara, in California. Con il fallimento ‘improvviso’ di SVB ci saranno ‘contagi’ a banche europee? Difficile dirlo, ma le banche europee sono in genere più ‘diversificate’ come clientela e sono diventate generalmente più solide negli ultimi anni. Insomma, da un punto di vista della solidità la situazione non pare preoccupante.
Ma, come rileva (anche) SkyTg24: “l’intervento del governo americano, che ha promesso che tutti i depositi della banca saranno rimborsati, non arresta l'emorragia di fiducia in Europa. Tiene Wall Street. Secondo gli osservatori non è una nuova Lehman Brothers, ma quanto accaduto mostra gli effetti degli aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed sulla liquidità. La filiale britannica della SVB, per la quale la Bank of England ha chiesto lo stato di insolvenza dopo il crack, è stata venduta a Hsbc”. E i prossimi giorni porteranno nuovi sviluppi.
