L’attitudine a risparmiare – lo dicono da decenni dati e analisi di mercato, paragonati a quelli di altri Paesi europei – è un primato italiano. Ma a questa virtù non si affianca l’abitudine a investire.
Nell’ultimo decennio questo limite si è tradotto nel perdere opportunità di guadagno, in quanto una massa enorme di risparmi – stimata in oltre 1.800 miliardi di euro – è rimasta dormiente sui conti correnti, senza investirli e valorizzarli, senza beneficiare della crescita dei mercati.
E oggi, in una situazione di alta inflazione, la ‘ricchezza dormiente’ vede svanire rapidamente il proprio potere d’acquisto. Adesso quei soldi perdono valore, quindi di fatto si riducono, impoverendo di conseguenza le famiglie, così come il Paese. Questa inefficienza e questa perdita di valore dei soldi e dei risparmi non valorizzati è tale sempre, ma ancora di più nei periodi – come questo – di alta inflazione. In Italia, secondo dati Istat, l’inflazione media nel 2022 è stata dell’8,1 per cento. Ciò significa che quei 1.800 miliardi di euro lasciati in banca dagli italiani, e ‘dormienti’, valgono circa 150 miliardi in meno di un anno prima. Una ricchezza enorme sprecata, bruciata dall’inflazione, pari al quintuplo di una manovra finanziaria che ogni anno ‘mette’ soldi per far funzionare il Paese e farlo crescere.
Un popolo di grandi risparmiatori, ma pessimi investitori, si trova quindi di fronte alla necessità di investire per difendere il proprio risparmio, e di doverlo fare in un momento che non offre facili chiavi di lettura. Paradossalmente, questa urgenza non sembra essere pienamente compresa nel Paese. La diffusione dell’educazione finanziaria si rivela così ancora una volta cruciale.
“Divulgare una corretta cultura del risparmio tra gli italiani renderebbe evidente la necessità di un cambio di prospettiva”, rimarca Alessandro Foti, amministratore delegato e direttore generale di FinecoBank, intervenendo in un saggio che sto leggendo. E sottolinea: “se l’aumento dei prezzi dei beni prodotti dalle imprese mette a rischio il valore dei risparmi, per i risparmiatori consapevoli la migliore forma di difesa è diventare parte di quelle aziende. Trasformarsi, cioè, in investitori nell’economia reale per partecipare agli utili prodotti dal sistema”.
Perché tutto questo ancora non è avvenuto? Limitarsi a elencare cause sociali, educative e culturali “sarebbe miope, ed equivarrebbe ad attribuire generiche responsabilità istituzionali senza adoperarsi per cambiare davvero lo Status quo”. Al contrario, individuare i possibili motori del cambiamento e alimentarli rappresenta la strada migliore per liberare le energie intrappolate del risparmio, rilanciando al tempo stesso l’economia italiana.
“Sono convinto che l’industria del risparmio gestito abbia le forze per assecondare questo cambiamento”, rileva Foti, “e potrà riuscirvi se sceglierà la strada di un’indispensabile trasparenza nel proporre il proprio servizio”. Come? Approfondendo gli obiettivi di vita dei clienti, per esempio, assecondandoli al meglio, mantenendoli al centro della propria attività per tutta la durata del rapporto. E soprattutto regalando alla parola ‘sostenibilità’ una rinnovata forza, che non si limiti al mero rispetto dei parametri ESG.
“L’accezione del termine investimento sostenibile dovrà necessariamente comprendere, oltre all’attenzione verso l’ambiente, gli aspetti sociali e quelli di governance, anche l’applicazione di costi equi”, mette in evidenza il manager bancario: “in questo modo la consulenza finanziaria potrà rispettare la propria valenza sociale, supportando fasce sempre più ampie di popolazione nella valorizzazione dei propri risparmi, sostenendo così l’economia che potrà beneficiare di nuove risorse e garantendo, tramite la diversificazione, un livello di rischio accettabile all’interno del quale ogni risparmiatore possa sentirsi a proprio agio”.
È la strada maestra che molti professionisti finanziari e Private banker, tra cui il sottoscritto, indicano e sollecitano da anni: ‘svegliare’, e in fretta, l’enorme ‘ricchezza dormiente’ degli italiani. Valorizzarla, metterla a frutto, attraverso investimenti ben pianificati e calibrati, e allo stesso tempo dando nuove risorse e nuovo vigore all’altra vera ricchezza del nostro Paese, e di ogni economia nazionale: le sue imprese, chi fa, produce, innova. E crea altra e nuova ricchezza.
