Se in Italia gli investimenti – intesi come capitale proprio investito in azienda e di conseguenza in innovazione – languono, e se gli imprenditori non vengono sufficientemente supportati nel loro sforzo di sviluppo, allora la bassa crescita è molto probabile e la scarsa produttività quasi assicurata, come appunto accaduto in Italia negli ultimi decenni.
Il limitato investimento e il fatto che i migliori talenti fuggano all’estero sono quindi legati a quanto sia difficile fare business in Italia e crescere come imprenditore, nonostante le migliaia di imprenditori di Pmi di successo siano un’eccellenza da valorizzare e fare crescere e un vanto nazionale.
L’Italia subisce gli impatti più negativi di una globalizzazione che delocalizza a favore di nuovi Paesi emergenti con forza lavoro meno costosa, ma spesso anche meno tutelata, e con approcci di mercato non rispettosi delle regole del Level playing field: un campo da gioco che non è in discesa per avvantaggiare alcuni e in salita per ostacolarne altri.
Perde quindi in competitività e in capacità di creare ricchezza, spesso anche a causa dei comportamenti illeciti altrui, basati sullo sfruttamento dei più deboli o dell’ambiente o sull’utilizzo di regole inique. Con una decrescita della produttività di conseguenza pari, negli ultimi vent’anni, a un tasso medio annuo negativo dello 0,2 per cento. Il Paese, oltre che a causa dell’aspetto peggiore della globalizzazione, perde in competitività anche per colpe proprie e per quella 'sindrome di Peter Pan' che lo porta spesso a non voler affrontare e risolvere i problemi cruciali e a guadagnare tempo, seguendo il miraggio di un’eterna giovinezza che è in fondo anche scelta di non investire per il proprio futuro.
Come sottolinea un libro che sto leggendo, dal titolo 'Investire bene in Italia': se guardiamo ai dati del Pil (Prodotto interno lordo) dagli anni Ottanta a oggi, è facile evidenziare una crescita del Pil italiano costantemente inferiore rispetto a quella del Pil globale, nonostante i tanti imprenditori di successo mondiale. Se consideriamo poi indici Benchmark come per esempio quello dell'Ease of Doing Business della Banca Mondiale, troviamo coerentemente un Ranking di competitività e attrattività che ci pone tra le ultime economie a livello internazionale, appena prima di quelle del Cile e della Grecia.
L’unica via d’uscita è aumentare la produttività, e l'innovazione: chi lavora oggi può mantenere un pensionato e mezzo. Domani, con una nuova tecnologia, magari ne potrà mantenere due. Se anche il costo dell’energia aumenta, allora varrà lo stesso ragionamento e così di seguito.
Una più elevata produttività e innovazione significa capacità di creare maggiore ricchezza 'reale' e non meramente finanziaria. Il ragionamento vale anche da un punto di vista sociale. La piramide della società funziona se non ci sono blocchi e se l’inclusione è massima, l’opportunità di scalare (o scendere) dinamicamente i piani della stessa è elevata, sufficientemente equa e trasparente e basata sulla meritocrazia, pur prevedendo 'paracaduti sociali' per chi non ce la fa e supporto per chi ha bisogno di ripartire dopo una caduta. I motori propulsivi di tutto ciò sono e rimangono anche per il futuro: investimenti, produttività e innovazione.
