In questi giorni sulle pagine di giornali e siti web, tra il caldo estivo record e la guerra in Ucraina senza fine, trova spazio anche l’eventuale riforma delle pensioni. Non è ancora chiaro se dell’argomento se ne parla perché è davvero uno dei prossimi temi prioritari o invece solo per riempire il vuoto agostano di altri avvenimenti.
In ogni caso, dati i vincoli stringenti sul Bilancio dello Stato, con la prossima Manovra 2024 il governo con ogni probabilità sulle pensioni non riuscirà ad andare oltre la semplice proroga di Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Ma non è detta l’ultima parola, come rilevano ad esempio il Corriere della Sera, Il Giornale e QuiFinanza. Tra le ipotesi che circolano sui tavoli dell’Esecutivo, in vista della prossima legge di Bilancio, ci sono anche quelle su Quota 41, ovvero la possibilità di andare in pensione anticipata con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età.
Le ha fatte mettere a punto la Lega per rilanciare il suo cavallo di battaglia e dimostrare che questa riforma potrebbe avere un costo ‘accettabile’, se la misura restasse in vigore ‘una tantum’, per il 2024, e se prevedesse il calcolo dell’assegno interamente con il contributivo. A fronte di una maggiore spesa iniziale, seguirebbe infatti un risparmio annuo a regime, dovuto al taglio degli assegni causato dal metodo contributivo.
In questo caso la spesa stimata sarebbe di poco più di un miliardo di euro nel 2024 e di 2,2 miliardi nel 2025. Si tratta comunque di una stima prudente, basata sul fatto che, secondo i tecnici, è realistico ipotizzare che solo il 50% della platea potenziale di chi raggiungerà 41 anni di contributi l’anno prossimo deciderebbe di andare in pensione con Quota 41. L’altra metà rinuncerebbe per via della riduzione dell’assegno legata al calcolo integrale col contributivo. Nel 2024, considerando appunto un tasso di adesione del 50%, le pensioni in più da pagare sarebbero 82mila. E nel 2025 ce ne sarebbero altre 86mila.
Inoltre, poiché la misura consentirebbe un anticipo di quasi due anni rispetto ai requisiti attuali per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne) è evidente che anche nel 2025 si pagherebbero più pensioni del previsto. Alla fine, quasi 200mila lavoratori potrebbero uscire un po’ prima rispetto alle regole attuali, per una spesa netta (tolte quindi le entrate fiscali) nel triennio 2024-2026 di oltre 3,7 miliardi.
Ma dal 2027 in poi la spesa per queste stesse pensioni scenderebbe di 800-900 milioni di euro l’anno, perché gli assegni sarebbero di importo inferiore di quelli che scatterebbero con le regole di calcolo attuali (sistema misto, cioè retributivo per i contributi fino al 1996 e contributivo per gli quelli successivi). I costi, sempre ipotizzando un tasso di adesione del 50%, sarebbero molto più alti, 9,4 miliardi fino al 2027, se quota 41 fosse concessa per il triennio 2024-26 (i tecnici hanno elaborato anche questa variante).
Poi la spesa comincerebbe a scendere, anche qui per effetto del calcolo contributivo sull’intero assegno, comportando risparmi per circa 2,5 miliardi l’anno. A beneficiare di Quota 41 per il triennio 2024-26 sarebbero, secondo le stime, più di mezzo milione di lavoratori. Al momento questa Quota 41 è solo un’ipotesi, vedremo nei prossimi mesi se, tra una variante di riforma pensionistica e l’altra, prenderà davvero quota.
