Siamo di fronte alla più grande transizione demografica che l’Umanità abbia mai sperimentato: nascono meno bambini, si muore di meno e si vive più a lungo. La questione, nel lungo periodo, può avere un impatto molto rilevante sulla qualità della vita e sul Welfare di moltissimi, anche e ancora di più in un Paese come il nostro. Che ha una popolazione con una vita media tra le più alte al mondo, e un sistema pensionistico che deve far tornare i conti con tutto ciò.
Ma niente allarmismi. Non perché il binomio e il dilemma ‘demografia e pensioni’ non sia importante e stringente, anzi, sono questioni che vanno affrontate nel modo giusto e in fretta. Ma con i semplici allarmismi non si risolve nulla. Occorre una gestione oculata e anticipata di ciò che ci aspetta nel prossimo futuro e anche per le prossime generazioni.
Sono questi alcuni dei temi trattati nel libro ‘Italia 2045’, ovvero ‘Una transizione demografica e razionale’ come indica il sottotitolo. Scritto da Alberto Brambilla, presidente del Centro studi Itinerari Previdenziali, e appena pubblicato da Guerini e Associati. Brambilla, tra i vari ruoli e incarichi svolti negli anni nell’ambito del Welfare, è stato anche presidente del Nucleo di valutazione della Spesa previdenziale presso il Ministero del Lavoro. Autore anche di ‘Le scomode verità’ (2020), e per le edizioni Guerini ha già pubblicato ‘Capire i fondi pensione’ (2021) e ‘Il consenso a tutti i costi’ (2022).
In questo nuovo volume si chiede e chiede, ad esempio: “culle vuote, immigrati, chi lavorerà nel 2045? Chi pagherà le pensioni e la sanità?”. E sottolinea: “Media, Tv e politica sono in allarme per l’invecchiamento della popolazione e il calo della natalità: le scelte fatte fin qui in materia di Welfare dimostrano però che, al di là dei facili catastrofismi, manca la capacità di comprendere i veri problemi del Paese e progettarne di conseguenza il futuro”. Ci preoccupiamo tanto per il calo della natalità “ma non facciamo nulla per affrontare la maggiore fase di invecchiamento della popolazione che il nostro Paese abbia mai sperimentato”.
L’Italia, secondo i dati del network sanitario USA NiceRx, è al quinto posto mondiale dopo Hong Kong, Giappone, Svizzera e Singapore per aspettativa di vita alla nascita che, nel 2022, è stimata in 80 anni e mezzo per gli uomini (2,5 mesi in più rispetto all’anno precedente) e in quasi 85 anni per le donne. Raggiunti i 65 anni di età, l’aspettativa di vita è di altri 22 anni per le donne e 18 per i maschi ma, e qui sta il problema, la vita in buona salute si riduce a 10 anni sia per le donne e sia per gli uomini.
“Il che”, fa notare l’esperto, “è indice di scarsi o inesistenti programmi di Screening e di prevenzione, sia da parte dell’esausto Sistema sanitario nazionale sia dei fondi di assistenza sanitaria integrativi, per i quali mancano pure una legge quadro e un'adeguata vigilanza, nonostante associno ormai quasi 14 milioni di italiani”.
E, senza prevenzione, la spesa sanitaria per le cronicità aumenterà con l’invecchiamento della popolazione ma, al momento, non si fa nulla. Manca poi totalmente una normativa sulla non autosufficienza (Long Term Care) la cui spesa, all’aumentare degli ultra80enni sarà sempre maggiore.
Ecco altri numeri – importanti –, altre tendenze e previsioni: i dati di Eurostat ci dicono che l’Italia è prima in Europa in tutte le classifiche per percentuale di ultra50enni, 65enni e 80enni sul totale della popolazione. Insomma, siamo i più vecchi d’Europa e nessuno se ne preoccupa.
Oltre ai problemi sanitari legati all’invecchiamento della popolazione, c’è il tema delle pensioni: i nati nel periodo del Baby Boom, tra il 1946 e il 1964, sono oltre 14 milioni e hanno età tra i 59 anni e i 77 anni; a questi possiamo sommare i nati nella fase finale del boom, cioè fino al 1978, pari a circa altri 12 milioni con età tra i 58 e i 45 anni. In totale, nei 32 anni di boom, sono nati quasi la metà degli italiani: 26 milioni, un dato che non si è mai verificato nella storia e che non si verificherà mai più. Quindi, nei prossimi 22-25 anni, si pensioneranno all’incirca 8 milioni di lavoratori, pari a circa 364mila persone ogni anno.
Poi c’è l’esplosione della spesa assistenziale, contabilizzata alla voce pensioni: solo per invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, quattordicesima mensilità, Social card e così via, spendiamo ogni anno oltre 48 miliardi di euro, a cui occorre sommare i costi delle varie forme di prepensionamento.
Quindi, auspicare e incentivare un aumento delle nascite è una buona cosa per l’età media e il futuro della popolazione, ma Brambilla rimarca: non è da lì che viene la risposta al dilemma ‘demografia e pensioni’. Ridurre l’enorme spesa assistenziale (165 miliardi netti l’anno) e progettare il futuro invecchiamento in modo serio è l’unica soluzione.
