Si è appena concluso il primo summit africano sul clima. In cima all’agenda degli incontri – a cui hanno partecipato delegazioni provenienti da tutti i 54 Paesi del continente – i cambiamenti climatici e il loro impatto.
Un confronto necessario anche per delineare una posizione comune in vista della Cop28, che si terrà a fine novembre negli Emirati Arabi Uniti, e per esercitare una maggiore influenza globale riguardo un fenomeno di cui l’Africa è responsabile in minima parte ma per cui già sta pagando altissime conseguenze. Con gli attivisti Gren che ammoniscono: “non fare del continente un paradiso dei Carbon credit”.
Secondo l’Organizzazione metereologica per il clima (Wmo), il continente africano, pur ospitando il 17% della popolazione mondiale, contribuisce ad appena il 4% delle emissioni globali di gas serra. Eppure – secondo le Nazioni Unite – è colpito più di altre regioni del mondo dagli effetti che l’inquinamento produce in termini di riscaldamento termico e disastri naturali.
A questo tema è dedicata anche l’ultima newsletter dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Che riporta: secondo il database Science Direct, dall’inizio del 2022, almeno 4mila persone sono state uccise e 19 milioni colpite da eventi meteorologici estremi in Africa. Un rapporto Onu del 2022 stima inoltre che il continente perda da 7 a 15 miliardi di dollari all’anno a causa dei cambiamenti climatici. Per invertire il trend e mitigare le perdite, i Paesi del continente dovrebbero ricevere in media 124 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti, di cui finora hanno ricevuto solo una minima parte pari a 28 miliardi di dollari.
Per di più, il tempo stringe. Secondo un recente rapporto Onu-Unione Africana, il continente si sta riscaldando a un ritmo più veloce rispetto al resto del Pianeta, e sta osservando fenomeni meteorologici estremi più gravi, come siccità e alluvioni. Solo lo scorso anno, i Paesi del continente hanno registrato 80 fenomeni meteorologici e climatici estremi, come la peggiore siccità nel Corno d’Africa degli ultimi 40 anni e i gravi incendi in Algeria.
Il rapporto afferma che il tasso medio di riscaldamento in Africa è stato di 0,3 gradi Celsius per decennio nel periodo 1991-2022, rispetto a 0,2 gradi a livello globale. Il riscaldamento è stato più rapido in Nord Africa, che è stato soggetto a molteplici ondate di caldo dallo scorso anno. Il rischio – sottolineano gli esperti – è che il cambiamento climatico inneschi nuovi conflitti sulle risorse, alimentando l’instabilità.
Nell’Africa sub-sahariana il numero di bambini sfollati interni a causa della crisi climatica è quasi raddoppiato, passando da un milione del 2021 a un milione e 850mila nel 2022. Nel minuscolo Stato di Borno, Nord della Nigeria, le inondazioni dello scorso anno hanno costretto più di 30mila persone ad abbandonare le proprie case. “Molti bambini sono stati separati dalle loro famiglie e collocati in strutture temporanee”, denuncia Save the Children, secondo cui i diritti dei più fragili, in Africa, “vengono erosi a un ritmo allarmante dagli impatti della crisi climatica”.
“Non siamo qui per fare una lista delle nostre lamentele”, ha sottolineato il presidente keniano, William Ruto, “ma dobbiamo fare in modo che coloro che ci hanno portato qui, alla crisi climatica che stiamo vivendo, gli emettitori, siano ritenuti responsabili e si crei un sistema che funzioni per tutti”.
Il presidente keniano ha chiesto un accordo globale sulla riduzione del debito per aiutare le nazioni africane a combattere gli effetti dannosi del cambiamento climatico, insistendo sul fatto che “le due questioni sono indelebilmente legate”. Nonostante l’enorme potenziale di energia solare e altre fonti rinnovabili, ad esempio, in Africa circa 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità. Da tempo i Paesi africani chiedono che le nazioni più ricche onorino l’impegno assunto alla COP15 di Copenaghen di versare 100 miliardi di dollari all’anno in un fondo di compensazione, per contribuire a ridurre le emissioni di gas serra e aiutare i Paesi africani ad affrontare la crisi climatica.
Ma non è solo questione di soldi. “Non c’è spazio per l’illusione delle compensazioni in un mondo in cui abbiamo esaurito il budget di carbonio rimanente”, ha rimarcato Mohamed Adow, direttore del think tank sul clima Power Shift Africa: “la struttura stessa del Carbon credit prevede che noi offriamo ai Paesi industrializzati e alle aziende il permesso di continuare a inquinare, autorizzando di fatto un percorso ad alte emissioni e spostandone l’onere sulle popolazioni africane. È una nuova forma di colonialismo”. Il neo-colonialismo Green, o pseudo-Green.
