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Rappresentazione visiva dell'articolo: Israele, Hamas, palestinesi: un mese di (altro) sangue di uno scontro infinito

Israele, Hamas, palestinesi: un mese di (altro) sangue di uno scontro infinito

Adriano Loponte

08 novembre 2023

È passato un mese da quel sabato 7 ottobre quando, alle prime luci dell’alba, i miliziani di Hamas dalla Striscia di Gaza hanno attaccato Israele con razzi e una serie di raid e assalti ai civili, ai giovani radunati per un Rave party, alle famiglie nei Kibbutz, le comunità rurali. Una carneficina che ha scatenato la reazione altrettanto sanguinaria degli israeliani contro i palestinesi, nuovi massacri come risposta ad altri massacri, in una lunga scia di sangue di uno scontro infinito.

La scintilla della nuova escalation di guerra e violenza è scattata con l’operazione ‘Alluvione Al-Aqsa’, pianificata in segreto per due anni e lanciata da Hamas quattro settimane fa, quando le brigate di Al Qassam, l’ala militare dell’organizzazione, avviano l'offensiva. E così da un mese il Medio Oriente, e non solo, è finito “in un pantano insanguinato da cui al momento sembra difficile uscire”, come rimarca l’Ansa: “la guerra del Sukkot, scoppiata il 7 ottobre, è cominciata con l’attacco a Israele da parte di Hamas, che ha ucciso oltre 1.400 persone sequestrandone 244. Secondo le cifre palestinesi, la reazione di Tel Aviv con l’intervento militare deciso dal primo ministro Netanyahu avrebbe invece provocato finora quasi diecimila morti nella Striscia”. 

È la fine di un equilibrio già precario che spacca anche l’Occidente, attraversato da gravi atti di antisemitismo nei quartieri ebraici di Parigi e in altri Paesi come l’Italia, dove qualcuno torna a marchiare le case degli ebrei con la Stella di David. Già a metà ottobre l’esercito israeliano ordina ai palestinesi di spostarsi verso Sud, chiedendo di fatto lo sfollamento di oltre un milione di persone: un’operazione giudicata impossibile dall’Onu, che mette in guardia dalle “devastanti conseguenze umanitarie”. Le parti in guerra spesso si accusano a vicenda, come nel caso dell’ospedale Al-Ahli di Gaza, dove secondo il ministero della Sanità locale sarebbero morte 500 persone sotto le bombe. Per l’Intelligence occidentale si tratterebbe però di un fallito lancio di razzi del Jihad islamico palestinese. 

 

Lo scontro in corso è comunque anomalo “rispetto alla dottrina militare israeliana, che da una parte si basa su esperienze di conflitto fra Paesi e non di guerra urbana, e dall’altra prevede risposte rapide e decise per chiudere il conflitto in tempi brevi”, sottolinea la newsletter dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Lo Stato ebraico, in fondo, è un piccolo Paese con meno di 10 milioni di abitanti (tra cui 2 milioni di arabi) e un eventuale tributo elevato di vite umane avrebbe un peso specifico non trascurabile. 

A contribuire alle pressioni su Israele, soprattutto da parte degli Usa, contribuisce anche il costo del conflitto in termini umanitari, che rischia di crescere di ora in ora insieme al pericolo di allargamento dell’escalation a livello regionale. Il direttore generale dell’Unicef, Catherine Russell, ha informato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che a Gaza, secondo i dati forniti dal ministero della Sanità locale, ogni giorno in media vengono uccisi o feriti 420 bambini. Nella Striscia di Gaza vivono circa 2 milioni di persone, e il 50% della popolazione palestinese ha meno di 20 anni. Per via della particolare situazione demografica, i bambini e i minori sono tra le principali vittime del conflitto per il diretto coinvolgimento in bombardamenti, ma anche per le conseguenze in termini di malattie, mancanza di igiene e spostamento forzato.

Intanto, si fa incandescente la situazione anche in Cisgiordania, “sull’orlo di una nuova Intifada, dove continuano gli scontri tra i coloni ebrei e i palestinesi, tanto che in un mese l’esercito israeliano ne ha uccisi più di cento”, rileva anche il Corriere della Sera. Il più grande alleato di Israele restano gli Stati Uniti, al punto che lo stesso Biden raggiunge Netanyahu a Tel Aviv per dargli sostegno chiedendo di garantire costanti aiuti umanitari. Si lavora anche per restituire il controllo di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che governa la Cisgiordania ma che perde sempre più consensi nei suoi territori: l’altra partita degli Usa è capire chi governerà la Striscia dopo Hamas. Rimangono numerose le incognite, dagli obbiettivi ultimi delle operazioni militari alle intenzioni del governo israeliano circa il futuro di Gaza.

 

 

 

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