Per quindici anni il dominio di Google Chrome è sembrato incontrastabile. Da quando, nel 2008, ha conquistato la scena del web, nessun concorrente è riuscito a scalfirne la supremazia: oggi il 70% della navigazione mondiale passa da lì. Un primato che ha dato a Google non solo un vantaggio tecnologico, ma un potere economico e informativo senza precedenti. Oggi, però, questo scenario si sta incrinando. Due nomi, OpenAI e Perplexity, stanno aprendo un capitolo nuovo nella storia di internet. Una sfida che non riguarda solo la tecnologia, ma l’equilibrio stesso del potere digitale globale.Dopo aver rivoluzionato il mondo con ChatGPT, OpenAI ha deciso di compiere un passo ulteriore: creare un browser capace di fondere ricerca, intelligenza artificiale e personalizzazione. Il nuovo progetto, chiamato Atlas, punta a trasformare il motore di ricerca in un assistente intelligente che non si limita a fornire link, ma elabora risposte, contesti, idee.L’obiettivo è trattenere l’utente dentro l’ecosistema ChatGPT, dove tutto è già integrato: scrivere testi, leggere notizie, analizzare dati, persino effettuare transazioni. In pratica, l’intelligenza artificiale diventa la nuova interfaccia del web. È un cambio di paradigma radicale. Non più un internet fatto di milioni di pagine sparse da raggiungere, ma uno spazio “curato” in cui l’AI filtra, interpreta e restituisce solo ciò che ritiene rilevante. Dietro questa scelta c’è una strategia precisa: spostare il potere dall’advertising alla relazione diretta con l’utente, dove i dati non vengono venduti ma custoditi all’interno di un ambiente controllato. Una rivoluzione silenziosa, ma potenzialmente dirompente.A sfidare la visione di OpenAI è Perplexity, un motore di ricerca che unisce la capacità analitica dell’AI alla trasparenza delle fonti umane. Le sue risposte non sono “magiche” o opache, ma accompagnate da link verificabili e riferimenti chiari. In un tempo in cui la rete è invasa da contenuti generati automaticamente e fake news, questo approccio rappresenta una scelta controcorrente. Perplexity non vuole sostituire i media, ma valorizzarli. L’obiettivo è costruire un web in cui l’intelligenza artificiale aiuti a trovare la verità, non a riscriverla. È un modello che sta conquistando consensi nel mondo dell’informazione e che potrebbe diventare un alleato prezioso per editori e giornalisti. Secondo le stime di Business Research Insights, il mercato dei browser, tra pubblicità, dati, e servizi collegati, varrà 1.800 miliardi di dollari entro il 2034. Chi controllerà la porta d’ingresso al web controllerà anche i flussi economici dell’intera economia digitale. È per questo che la sfida lanciata da OpenAI e Perplexity è tanto strategica quanto politica.Google ha costruito la propria forza sul modello “cerca, clicca, compra”, basato su inserzioni e profilazione. Ma nel nuovo internet che si sta delineando, la logica cambia: ciò che conta non è più la quantità di dati, bensì la qualità delle interazioni. L’AI rende possibile una conoscenza più immediata, ma anche più chiusa. Un web “assistito”, dove il confine tra libertà e dipendenza si fa sottile. Il dibattito si sposta così su un piano più ampio. È davvero l’intelligenza artificiale a preoccupare o, piuttosto, il potere crescente delle grandi piattaforme che la governano? Negli ultimi mesi, figure come Elon Musk, Steve Wozniak e Richard Branson hanno rilanciato un appello internazionale per fermare la corsa verso la “superintelligenza”, denunciando il rischio che pochi attori privati detengano il controllo della conoscenza globale.Come ha scritto Luca De Biase, “non è l’AI a essere fuori controllo, ma le Big Tech che la usano per consolidare il loro potere”. È una riflessione che va dritta al punto: se ieri il motore di ricerca era la bussola del web, domani il rischio è che diventi la voce che decide cosa è vero e cosa no.Dietro questa sfida tecnologica c’è una questione più profonda: la fiducia.Internet è nato come uno spazio di libertà, ma la concentrazione di potere nelle mani di poche aziende rischia di trasformarlo in un giardino recintato. La differenza, oggi, la farà la trasparenza: capire chi decide cosa vediamo, come vengono usati i nostri dati, e quale logica orienta i risultati che ci vengono proposti. L’Europa osserva, come spesso accade, con ritardo e prudenza. Ma questa volta la partita è troppo grande per restare spettatori: il modo in cui navigheremo nei prossimi anni determinerà non solo l’economia digitale, ma anche la qualità del nostro pensiero collettivo.Il futuro dei browser, in fondo, è il futuro della conoscenza. E la vera domanda è semplice ma decisiva:vogliamo che a guidarci sia un algoritmo o la nostra consapevolezza?
