Negli Stati Uniti lo shutdown dopo 40 giorni è finito. Una frase che, da questa parte dell’Atlantico, potrebbe sembrare tecnica, quasi burocratica. In realtà è uno snodo politico ed economico che racconta molto dell’America di oggi: divisa, polarizzata, ma ancora capace, quando costretta, di trovare un punto d’incontro pur di evitare il caos istituzionale. E proprio questo compromesso, arrivato in extremis, ha dato la spinta ai mercati globali, che nelle ultime ore hanno ritrovato fiducia e vigore.La chiusura degli uffici federali, partita settimane fa per via del mancato accordo sul bilancio, aveva messo in stand-by settori fondamentali dello Stato: agenzie statistiche, controlli dei mercati, stipendi dei dipendenti pubblici, pubblicazione dei dati macro. Nella pratica, era come se una parte dell’infrastruttura amministrativa americana fosse stata scollegata dalla rete. Un blackout che non è mai solo operativo: è simbolico. Trasmette agli investitori incertezza, e l’incertezza, si sa, è la cosa che i mercati tollerano meno.Quando finalmente Senato e Casa Bianca hanno trovato un’intesa per riattivare i finanziamenti fino al 30 gennaio, la reazione è stata immediata. Wall Street ha aperto in forte rialzo e l’effetto si è rapidamente trasferito in Europa: Milano ha messo a segno un +2,3% tornando sui livelli del 2007, spinta soprattutto da banche e titoli industriali. È un rimbalzo figlio del sollievo e della fine di un rischio sistemico.Perché una reazione così euforica da parte dei mercati?La risposta è semplice: gli investitori non temevano tanto lo shutdown in sé, quanto l’impatto sulla produzione di dati macro e sulle prossime decisioni della Fed. Con le agenzie federali bloccate, l’uscita di informazioni cruciali: inflazione, mercato del lavoro, produzione industriale, sarebbe stata ritardata o incompleta. E senza dati, la banca centrale vola a vista. Un paradosso in un momento in cui la politica monetaria americana deve decidere tempi e modalità del prossimo taglio dei tassi. La riapertura cambia il quadro. Significa che il ciclo informativo torna regolare, che i funzionari federali riprendono il lavoro e che la Fed potrà operare su basi più solide. Per i mercati, che scontano sempre il futuro prima del presente, questo vale oro.La spinta aggiuntiva: il tema del “dividendo” di TrumpNel pieno del dibattito sullo shutdown, Donald Trump ha gettato benzina sul fuoco e entusiasmo sugli investitori. Promettendo un “dividendo tariffario”: 2.000 dollari ad ogni cittadino, finanziati dalle entrate dei dazi sulle importazioni. Una proposta che non vedrà la luce a breve e che molti economisti giudicano più retorica che realistica, ma che ha avuto un impatto mediatico potente.L’idea è identica, nella logica, all’helicopter money: lo Stato distribuisce liquidità direttamente ai cittadini, saltando ogni intermediazione. Ma a differenza del passato, qui la narrativa è stata quella di un’autofinanziamento: “useremo i dazi per ridare soldi agli americani”.Il mercato non si è lasciato trascinare dall’ottimismo, ma la proposta ha contribuito a rafforzare almeno una sensazione: la politica fiscale americana resterà espansiva. E per gli investitori questo significa due cose: crescita sostenuta e più emissioni di Treasury.Infatti, subito dopo l’annuncio, i rendimenti dei titoli Usa sono saliti: il decennale è risalito al 4,11%, il trentennale al 4,7%. Segnale che gli investitori iniziano a chiedere più premio per finanziare il debito americano.Dietro la fine dello shutdown c’è una frattura politica enormeSe la finanza festeggia, la politica americana si lacera. L’accordo che ha permesso la riapertura del governo è stato possibile perché otto senatori democratici hanno votato con i repubblicani, rompendo la linea del partito guidato da Schumer. È un fatto che ha aperto una frattura interna raramente così evidente, soprattutto in un anno pre-elettorale.Da una parte, i democratici più centristi hanno sostenuto che bloccare la macchina federale era inutile e dannoso per i lavoratori.Dall’altra, l’ala progressista ha accusato i colleghi di aver “svenduto” il potere negoziale del partito proprio nel momento in cui la Casa Bianca poteva ottenere concessioni significative, soprattutto sul tema dei fondi per la sanità. È il riflesso perfetto dell’America contemporanea: un Paese che non riesce più a discutere senza spaccarsi, ma che nei momenti critici continua, in qualche modo, a trovare un compromesso.Che cosa ci insegna questa vicenda?Tre cose, soprattutto.La prima: i mercati reagiscono più alla rimozione dei rischi che alle buone notizie.Lo shutdown finisce, ma l’economia americana non è cambiata in un giorno: eppure le Borse volano.La seconda: la politica americana resta imprevedibile.Il compromesso sul bilancio non è un segnale di stabilità, ma una tregua fragile. Il 30 gennaio il nodo si ripresenterà identico.La terza: la distanza tra economia e politica continua a crescere.La finanza guarda al ciclo, alla Fed, agli utili; la politica guarda alle elezioni, alle narrative e alle identità. È come se viaggiassero su binari diversi.
