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Rappresentazione visiva dell'articolo: Pensioni 2026: il grande freddo dell’uscita ordinaria e la scommessa obbligata sui fondi

Pensioni 2026: il grande freddo dell’uscita ordinaria e la scommessa obbligata sui fondi

Adriano Loponte

30 dicembre 2025

Con l’addio alle Quote e la stretta di Opzione Donna, il 2026 segna il ritorno alla rigidità della Legge Fornero. Mentre l'asticella anagrafica si alza, la previdenza complementare diventa l'unico vero ammortizzatore sociale, spinta dal nuovo meccanismo di silenzio-assenso sul Tfr e dall’aumento della deducibilità.L'illusione della flessibilità è ufficialmente terminata. Se negli ultimi anni il dibattito previdenziale si era concentrato sulla ricerca di finestre d’uscita temporanee, dalle varie "Quote" alle sperimentazioni per categorie specifiche,  il 2026 si presenta come l’anno del ritorno alla realtà nuda e cruda dei conti pubblici. Come evidenziato dall’analisi di Carlo Giuro su Milano Finanza, la manovra non proroga Quota 103 né Opzione Donna nella loro veste di canali di massa. Il messaggio del legislatore è inequivocabile: il sistema non regge le eccezioni. Si torna alle regole ordinarie, e la pensione, per molti, si allontana visibilmente all'orizzonte.Dal prossimo anno, il perno del sistema torna ad essere rigidamente la pensione di vecchiaia: 67 anni di età accompagnati da almeno 20 anni di contributi. Per chi ricade interamente nel sistema contributivo, l’accesso è vincolato a un assegno che deve essere superiore all’assegno sociale (fissato a 545 euro mensili nel 2026). Chi non raggiunge questa soglia rischia di dover attendere addirittura i 71 anni.Resta, è vero, la via dell’anticipata ordinaria, svincolata dall’età anagrafica, ma il prezzo da pagare in termini di vita lavorativa è altissimo: servono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.Non solo. A rendere il quadro ancora più severo c’è l’ombra del 2027. La manovra interviene sull’adeguamento alla speranza di vita: dopo un biennio di "tregua" legislativa, dal 2027 l’età pensionabile tornerà a correre in automatico, spingendo l'uscita effettiva ancora più avanti di circa tre mesi.In questo scenario di porte chiuse, l'unica "carota" offerta dal Governo è l'incentivo a restare. Viene confermato anche per il 2026 il bonus per chi, pur avendo maturato i requisiti per Quota 103 (o meglio, per il pensionamento anticipato flessibile), decide di rimanere al lavoro. Il meccanismo prevede la rinuncia all'accredito dei contributi a proprio carico (9,19% dell'imponibile), che finiscono direttamente in busta paga esentasse. È una mossa tattica per arginare l'emorragia di forza lavoro e sostenere il gettito immediato, ma che scarica sul lavoratore la responsabilità di rinunciare a una fetta di montante futuro in cambio di liquidità oggi. È in questo contesto di "ritirata" del welfare pubblico che la previdenza complementare assume un ruolo centrale, quasi sistemico. I dati della Covip parlano di una crescita robusta: a settembre 2024 le posizioni previdenziali hanno toccato quota 11,5 milioni, con un incremento del 3,1% rispetto all'anno precedente e un patrimonio gestito di oltre 255 miliardi di euro.Il legislatore ha compreso che il primo pilastro non basterà e sta intervenendo con decisione sul secondo. La novità più rilevante è l'introduzione, dal 1° luglio 2026, del meccanismo di adesione automatica tramite "silenzio-assenso" anche per i nuovi assunti del settore privato. Funzionerà così: entro 60 giorni dall'assunzione, il lavoratore dovrà scegliere dove destinare il Tfr. In assenza di scelta esplicita, il trattamento di fine rapporto confluirà automaticamente nella forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi (tipicamente i fondi negoziali). È una rivoluzione copernicana che mira a vincere l'inerzia dei risparmiatori.Nuovi incentivi fiscali e flessibilità in uscitaPer rendere il "pacchetto" più attraente, la manovra ritocca due leve fondamentali.La prima è fiscale: il limite di deducibilità annuale dei contributi versati, fermo da decenni a 5.164,57 euro, viene innalzato a 5.300 euro. Un adeguamento, seppur timido, all'inflazione, che offre maggior spazio di manovra per l'ottimizzazione fiscale.La seconda riguarda la liquidabilità: si introduce la possibilità di richiedere in forma di capitale (quindi subito e in un'unica soluzione) fino al 60% del montante accumulato, contro il precedente limite del 50%. Questa misura risponde a una delle paure storiche dei sottoscrittori: quella di vedere i propri risparmi "bloccati" in una rendita mensile troppo esigua.Tuttavia, aderire non basta; bisogna scegliere bene. I dati sulle performance evidenziati da Milano Finanza mettono a nudo un divario preoccupante. Nei primi nove mesi del 2025, i comparti azionari dei fondi negoziali hanno reso il 5,5%, e quelli dei fondi aperti addirittura il 7,1%. Di contro, le linee garantite e obbligazionarie, rifugio storico dei lavoratori più prudenti, faticano enormemente: le gestioni separate di ramo I hanno reso appena l'1%, un valore ben al di sotto dell'inflazione e della rivalutazione del Tfr in azienda (pari al 2,4% nello stesso periodo).Valutando i rendimenti su un orizzonte decennale (2015-2024), la forbice si allarga inesorabilmente: le linee a maggiore contenuto azionario offrono rendimenti medi annui composti tra il 4,7% e il 5%, mentre le linee garantite arrancano tra l'1,8% e il 2,9%.Il 2026 ci consegna un sistema previdenziale a due velocità. Da un lato, lo Stato alza i muri dell'accesso alla pensione pubblica e avverte che l'assegno sarà sempre più leggero. Dall'altro, spinge con forza verso i fondi privati, usando la leva del Tfr e promettendo maggiore flessibilità sul capitale. Per il lavoratore, la previdenza complementare smette di essere uno strumento finanziario per diventare una polizza di assicurazione sul proprio futuro tenore di vita. Ma attenzione alla gestione: rifugiarsi nelle linee garantite, dati alla mano, rischia di essere una scelta perdente. 

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