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Rappresentazione visiva dell'articolo: Sotto assedio: il Venezuela al centro della nuova guerra silenziosa

Sotto assedio: il Venezuela al centro della nuova guerra silenziosa

Adriano Loponte

05 novembre 2025

Il Venezuela è tornato al centro della scena internazionale. Quello che fino a pochi mesi fa sembrava un dossier dimenticato dall’Occidente è oggi una miccia accesa nel cuore del continente americano. La Casa Bianca di Donald Trump ha deciso di muovere la flotta nel Mar dei Caraibi, con esercitazioni anfibie e mezzi militari schierati a Porto Rico. Ufficialmente, l’obiettivo è “contrastare il narcotraffico”. In realtà, la manovra ha il sapore di un messaggio politico: gli Stati Uniti tornano a considerare il Sud America come il proprio “cortile di casa”.Dietro la retorica sulla sicurezza si nasconde una verità più cruda: il Venezuela è ormai un narco-Stato. La produzione e il traffico di cocaina rappresentano la linfa vitale di un regime che ha trasformato la criminalità in strumento di sopravvivenza economica e politica. Le rotte che un tempo passavano per Colombia e Perù oggi transitano da Caracas, con la complicità delle forze armate e di parte dell’apparato statale. L’ONU non riconosce formalmente la definizione di “narco-Stato”, ma le evidenze raccontano altro: la connivenza fra potere politico e cartelli è sistemica, e la droga è diventata moneta di scambio per fedeltà e consenso.Le immagini dei Marines che simulano sbarchi anfibi a Porto Rico non sono una semplice prova di forza. Sono una guerra psicologica diretta a Nicolás Maduro, ma anche un segnale ai rivali strategici degli Stati Uniti: Cina, Iran e Russia, oggi alleati del regime di Caracas. Da mesi, infatti, Mosca fornisce supporto militare e intelligence a Maduro, mentre Pechino ha investito miliardi nel settore energetico venezuelano in cambio di forniture petrolifere. In questo scacchiere, il Paese sudamericano è diventato il punto di intersezione tra criminalità, economia parallela e geopolitica globale.Il Brasile di Lula tenta una mediazione diplomatica, consapevole che un conflitto aperto avrebbe conseguenze devastanti per l’intera regione. Ma la trattativa è fragile. Secondo indiscrezioni raccolte dai media sudamericani, Maduro sarebbe disposto a negoziare con Washington solo in cambio di garanzie d’immunità per sé e per l’élite chavista. In pratica, un salvacondotto politico. Un’ipotesi che irrita l’opposizione guidata da María Corina Machado, oggi tornata a chiedere elezioni libere e il ritiro di Maduro dal potere. La realtà, tuttavia, è che il regime non è mai stato così vulnerabile. L’economia è al collasso, la valuta nazionale non ha più valore reale, e la repressione del dissenso è aumentata. Come ha raccontato la scrittrice Karina Sainz Borgo, il dittatore “ora si sente minacciato” e reagisce accentuando la violenza interna. I narcos, più che una minaccia, sono diventati la stampella del potere. In cambio di libertà operativa, garantiscono risorse e controllo sociale. È un patto di sopravvivenza che spiega perché, nonostante l’isolamento internazionale, il chavismo resti ancora in piedi.Il contesto globale amplifica la tensione. La Casa Bianca considera la stabilità del continente una priorità strategica, mentre l’intelligence americana lavora su più fronti per indebolire Caracas: sabotaggi informativi, sanzioni mirate, sostegno logistico ai gruppi di opposizione. È la logica del “regime change” tornata in auge, ma in versione digitale e ibrida. Le prove muscolari di Trump non annunciano un’invasione, ma servono a creare pressione, delegittimazione e paura.La vera domanda è un’altra: cosa c’è in gioco davvero?Il Venezuela non è più solo un problema di diritti umani o democrazia. È un nodo energetico e logistico fondamentale. Con le sue immense riserve petrolifere, controlla una parte delle forniture globali e rappresenta una piattaforma ideale per chiunque voglia proiettare influenza nel continente. Non a caso, la Russia mantiene una presenza militare stabile e la Cina continua a finanziare infrastrutture strategiche, dal porto di La Guaira alle miniere di oro e litio.L’America teme che Caracas diventi una nuova Cuba, ma con più risorse e meno ideologia. E così il conflitto assume un significato più ampio: la contesa per il controllo dell’America Latina tra Washington e il blocco orientale. In mezzo, un Paese esausto, dove milioni di cittadini vivono nella povertà e nell’esilio, ostaggi di una guerra che non hanno scelto.Il Venezuela di oggi è il simbolo perfetto delle crisi ibride del XXI secolo: un intreccio di potere, droga, interessi e diplomazia, dove la verità non è più distinguibile dalla propaganda. E come in ogni scenario di questo tipo, a pagare il prezzo non saranno i governi, ma il popolo.

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